Nel contesto societario, la “business judgement rule” rappresenta un principio di insindacabilità delle decisioni gestionali degli amministratori, salvo i casi di manifesta irragionevolezza o di dolo. Con questa regola, il diritto italiano intende tutelare la discrezionalità imprenditoriale degli amministratori, garantendo loro una certa libertà nelle scelte di gestione aziendale. Recentemente, la Corte di Cassazione ha riaffermato questo principio in un caso di mala gestio che ha coinvolto un amministratore di una società immobiliare, chiarendo ulteriormente i contorni della responsabilità e l’allocazione dell’onere della prova in simili controversie.
Gli aspetti fondamentali della Business Judgement Rule
Il principio sotteso alla “business judgement rule” è che le decisioni gestionali, anche se economicamente inopportune, non possono essere poste a sindacato del giudice, a meno che non vi siano evidenti profili di irrazionalità o dolo. Questa regola si fonda sull’idea che la gestione aziendale richiede valutazioni tecniche e di rischio che solo l’amministratore, in qualità di esperto e responsabile della direzione, può effettuare, tenendo conto degli obiettivi strategici dell’impresa.
Un recente intervento della Cassazione ha chiarito che gli errori di valutazione economica, di per sé, non costituiscono una violazione dei doveri fiduciari degli amministratori, ma rappresentano semplicemente una conseguenza del rischio imprenditoriale. In questo contesto, infatti, le scelte imprenditoriali non potranno essere giudicate inopportune a posteriori, purché siano state prese con la dovuta diligenza e in buona fede.
La prova della mala gestio e l’onere della prova
Un aspetto cruciale emerso dalla giurisprudenza è l’allocazione dell’onere della prova in caso di contestazioni legate a una presunta mala gestio. La Corte ha stabilito che spetta al ricorrente provare che le scelte dell’amministratore siano state compiute con dolo o grave negligenza. Questo principio è emerso in un caso in cui una società contestava l’operato del proprio amministratore, sostenendo che avesse agito al di fuori dei propri poteri rappresentativi, impegnando l’azienda in contratti a beneficio personale senza una chiara giustificazione economica.
La discrezionalità dell’amministratore e la sua limitazione
La Cassazione ha ribadito che le azioni degli amministratori non possono essere giudicate alla luce di una presunta inopportunità economica, perché queste valutazioni rientrano nella sfera della discrezionalità imprenditoriale. Tuttavia, se un amministratore dovesse compiere azioni in chiaro contrasto con l’interesse della società, senza alcuna motivazione aziendale valida o contro il mandato ricevuto, potrebbe sorgere una responsabilità per mala gestio.
La mia esperienza professionale
Nella mia attività professionale, mi è capitato frequentemente di assistere società e amministratori in controversie basate sulla “business judgement rule”. Ho osservato come, in molti casi, sia difficile stabilire con precisione il confine tra l’errore imprenditoriale e la negligenza grave. La giurisprudenza offre un valido supporto per inquadrare le scelte gestionali come atti discrezionali, riducendo il rischio di ingerenza indebita nei confronti di decisioni aziendali strategiche. Tuttavia, è cruciale che gli amministratori documentino sempre le proprie scelte e le relative motivazioni per dimostrare, in caso di contenzioso, di aver agito con la diligenza richiesta.
La “business judgement rule” è dunque uno strumento che, pur essendo di matrice anglosassone, si è consolidato nel diritto italiano, offrendo un fondamentale bilanciamento tra la tutela dell’autonomia degli amministratori e la protezione degli interessi sociali.
avv. Igino Cappelli